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El Calafate … miti e leggende!

Tutti i popoli della terra, hanno le proprie tradizioni, delle storie, delle leggende.
Anche in Patagonia si tramandano storie e racconti … e queste ne sono solo un piccolo assaggio!

 

Esiste una leggenda su come sia nata la città di El Calafate [space height="40"]
La storia racconta di una vecchia donna di medicina della tribù dei Tehuelches, un popolo indigeno della Patagonia.
All’arrivo dell’inverno, la tribù iniziò a migrare verso nord a piedi in cerca di cibo e riparo, dove il freddo non era così intenso e si poteva cacciare.
Anche Koonex, la donna medicina, partì con il suo popolo, ma ben presto si rese conto che la vecchiaia non le avrebbe permesso di seguire tutti gli altri.  Capì che il suo destino era un’altro.
Le altre donne della tribù le costruirono una tenda con le pelli di guanaco per ripararsi dal freddo intenso dell’inverno e raccolsero abbondante legna e cibo.
La tribù ripartì intonando un canto d’addio e Koonex udì le loro voci assopirsi piano piano fino a non sentire più nulla. Un silenzio assordante la circondava e ora si rese conto di essere sola.
E così passarono molti soli e molte lune, fino all’arrivo della primavera. Poi nacquero i germogli, arrivarono le rondini, i pivieri, i felici chingolos, i pappagalli chiacchieroni. La vita era tornata.
All’improvviso, sulle pelli della tenda di Koonex, uno stormo di uccellini si adagiò allegramente cantando. E fu così che si udì la voce della vecchia guaritrice che, dall’interno della tenda, li rimproverò di averla lasciata sola durante tutto il lungo e rigoroso inverno.
Un piccolo uccellino, con sorpresa, rispose:
“Siamo partiti perché in autunno il cibo inizia a scarseggiare. Anche in inverno non abbiamo posto per ripararci”.
“Vi capisco”, rispose Koonex, “quindi, da oggi avrete cibo in autunno e un bel cappotto in inverno, e io non sarò più sola” e la vecchia si zittì.
Quando una folata di vento improvvisamente girò le pelli della tenda, invece di Koonex c’era un bellissimo cespuglio spinoso, con fiori gialli profumati. Quando arrivò l’estate, i delicati fiori diventarono frutti e prima dell’autunno iniziarono a maturare, assumendo un colore blu-viola con un sapore squisito e con un alto valore nutrizionale. Il nome di questo cespuglio era ed è ancora oggi Califate.
Da quel giorno alcuni uccelli non emigrarono più e quelli che erano partiti, dopo aver sentito la notizia, tornarono per provare il nuovo frutto delizioso tanto decantato.
Così, anche i Tehuelches, dopo il loro ritorno, lo provarono, facendolo loro per sempre.
Sparsero i semi in tutta la regione e, da quel momento in poi la leggenda è stata tramandata fino ad oggi con il detto “chi mangia Calafate, ritorna sempre”

 

Un'altra storia narra le vicende di un amore così grande da diventare leggenda [space height="40"]
Calafate era una giovane donna, molto bella dagli occhi dorati e devota al volere del padre. Ma le cose cambiarono quando al villaggio arrivò un giovane di origine Selknam per affrontare un rituale noto come Hain che lo avrebbe ammesso alla cerchia degli uomini.
I due giovani si conobbero e ben presto si innamorarono. Ma la loro unione durò ben poco perchè il capo della tribù e il padre di Calafate non avrebbero mai permesso la loro unione, dato che il clan dei Tehuelches non contemplava un’unione con i Selknam.
I due innamorati progettarono così di fuggire una volta terminato il rituale del giovane.
Il ragazzo Selknam iniziò il rituale e a quel punto il padre di Calafate non poteva fare più nulla perchè era proibito, secondo le tradizioni Tehuelches, interrompere una cerimonia sacra.
L’unica cosa che poteva fare per far cessare il loro amore, era quello di chiedere aiuto allo sciamano della tribù.
E lo sciamano lo aiutò, trasformando la dolce Calafate in una pianta spinosa con fiori dorati come i suoi occhi, mai visti prima in quelle terre.
Il giovane dei Selknam, una volta terminato il rito, cercò la sua amata Calafate ma invano. Per mesi e mesi vagò inutilmente per le steppe con il cuore spezzato, cercando il suo grande amore. Solo allora si dice che gli spiriti ebbero pietà di lui e così lo trasformarono in un piccolo e veloce uccellino per poter farlo viaggiare più veloce attraverso le grandi aree delle steppe della Patagonia.
E così passarono molti inverni e primavere, fino a quando, un giorno di fine estate, il piccolo uccellino si posò su un cespuglio che non aveva mai visto. Incuriosito da quei frutti di colo blu-viola ne assaggiò qualche bacca e immediatamente si rese conto di aver finalmente ritrovato il suo grande amore perchè il sapore di quei frutti erano dolci come il cuore di Calafate
Da qui la storia dei due innamorati si tramandò di generazione in generazione, tanto che si dice che l’incantesimo sia rimasto nei frutti del tipico arbusto della Patagonia meridionale e chiunque li mangia anche solo per una volta, tornerà nel luogo in cui li ha assaggiati.
Ecco perchè la leggenda dice “chi mangia Calafate, ritorna sempre”